Il Castello

IL CASTELLO

Salendo per via Sant’Agostino si nota una sovrapporta con l’Agnello eccezionalmente posto su di un lato, fiancheggiato da un ramo di rose stilizzate. Poco più avanti appare l’unico portale dei Capponi con le insegne del disegno dei due galletti e della corona, a bassorilievo inciso, e la presenza negli angoli liberi di un fregio ornamentale, costituito da un fiorellino e da una croce incisa, fanno di questo portale un pezzo veramente unico. Le iniziali M e C stanno ad indicare l’abitazione del notaio Marco Capponi, attivo nel secolo XV.

Giunti su un piazzale ci appaiono i resti di quello che era un fortilizio pressoché inespugnabile, oltre che dimora abituale dei signorotti locali. Del castello non resta moltissimo in verità, ma la residua cinta muraria con quel che rimane del torrione, posto nell’angolo più elevato per meglio scorgere l’avvicinarsi del nemico, e della cisterna mantengono intatto il loro fascino. Costruito interamente sulla roccia dalla Repubblica di Genova a difesa dei suoi confini, al pari delle altre quattro fortezze venne varie volte danneggiato dagli stessi trioresi per protesta contro l’esosità delle imposte. In una famosa pittura di Matteo Vinzoni della seconda metà del XVIII secolo, il castrum vetus Trioriae appare appunto in parte diroccato; i genovesi, non potendo farne a meno per la sua importanza strategica, provvidero sempre a riedificarlo. 

Dal castello è ben visibile un’altra fortezza, chiamata semplicemente il fortino, che proteggeva il paese dall’alto, funzionando fino al 1850 come posto di dogana con il Piemonte. Nel 1878, non appena terminata la sciagurata demolizione dell’antichissima chiesa dei Santi Pietro e Marziano martiri, il camposanto venne trasferito fra quelle inaccessibili mura. Le ossa umane, rinvenute man mano che si procedeva agli scavi ed ai lavori di spianamento della costruendo piazza d’armi, vennero dai trioresi trasportate nella nuova ultima dimora, assieme a carriole colme di terra, spinte a fatica lungo il pendio. Anche l’architrave in pietra nera lavorata all’ingresso della distrutta chiesa venne con ogni cura collocata nel camposanto e tuttora è visibile sopra al muro centrale vicino alla grande scalinata; il trigramma di Cristo, con le due chiavi intrecciate simboleggianti il primo papa cristiano, reca la seguente iscrizione: “MCCCCLXXVIIII, Die Prima Junii” (primo giugno 1479). Della vecchia fortezza rimangono pochi resti, sufficienti tuttavia a dimostrarne la possanza e l’importanza strategica.

Il camposanto, con i centenari cipressi, suscitò nello scrittore Riccardo Bacchelli particolari emozioni, tanto che giunse a scrivere: “Alto sullo sprone di monte e dominante sul paese e sulle valli precipiti, il camposanto di Triora è simile a un fortilizio destinato all’ultima difesa. E anche la stupenda invenzione che l’ha collocato lassù è un’invenzione d’amore…”.   

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