L’eredità di Franchetta Borelli
di Paolo Portone
NESSUN ROGO…MA UNA TRAGEDIA DRAMMATICAMENTE VERA
La vicenda è nota: nel 1588 a Triora alcune donne furono accusate del peggior crimine allora concepibile, cioè di essere seguaci della eretica setta delle streghe diaboliche. Fu così che Franchetta Borelli e le altre imputate finite sotto i ferri prima dell’Inquisitore e poi del Commissario Giulio Scribani , si scoprirono adoratrici di Satana.Secondo i giudici si erano donate al Diavolo cristiano, con l’anima e con il corpo, in cambio dei suoi poteri malefici. La loro sorte fu per sempre segnata,anche se non furono condannate al rogo. Lo scrupoloso lavoro d’archivio condotto sui documenti dell’epoca ha finalmente restituito nuovi elementi che consentono oggi di ricostruire uno dei più celebri processi di stregoneria istruiti nel nostro paese. Una vicenda che segnò profondamente i rapporti tra il Santo Uffizio e la Repubblica di Genova e che al contempo sancì in modo definitivo il nuovo orientamento delle Chiesa di Roma nei confronti delle “superstizioni” folkloriche e delle loro custodi, le operatrici della magia tradizionale, signore delle erbe, levatrici e guaritrici che a vario titolo continuavano, in special modo tra i ceti subalterni, ad esercitare un preciso ruolo nella tutela e nella salvaguardia della salute delle comunità. La maggiore prudenza da parte dell’Inquisizione nelle accuse di stregoneria diabolica comportò un mutamento nelle strategie adottate per contrastare le superstizioni, che non furono più combattute ma riassorbite, perlopiù, nell’alveo dell’ortodossia. Ciò permise quella particolare condizione che fu la demonopatia senza caccia che caratterizzò l’Italia nel periodo delle grandi persecuzioni Cinque-Seicentesche in Europa. Pur mantenendo inalterata l’impalcatura demonologica, le autorità ecclesiastiche andarono sostituendo alle fiamme dei roghi l’acqua santa degli esorcismi.Da questo punto di vista è significativo che proprio a Triora si continui a celebrare una curiosa cerimonia religiosa per scongiurare l’invasione dei bruchi, un rito profondamente impregnato di quella mentalità magica che sulla carta si era inteso combattere ma che alla fine della Controriforma risultò inglobata e amplificata all’interno di una religiosità improntata al miracolistico, al culto delle reliquie (Triora possiede un invidiabile numero di reliquie,anche delle più curiose come il latte della Vergine Maria) , delle immagini sacre e all’uso dei sacramentali (acqua, olio, sale, candele e incenso benedetti). Resta allora il dubbio che dietro l’apparente confessionalizzazione della società, la Chiesa anche attraverso l’abbandono dell’accusa di stregoneria diabolica, abbia inteso mantenere la sua egemonia spirituale venendo a patti con la religiosità folklorica, cioè con quelle credenze profonde (le vane osservanze) che facevano parte del mondo culturale di Franchetta e delle altre imputate. Chi, come Giulio Scribani, cercò controcorrente di sradicarle non a caso si appellò ad una tradizione precedente alla Controriforma, ad un periodo in cui la Chiesa, uscita vittoriosa dalla lotta contro l’eresia catara e valdese, aveva cominciato a guardare con occhi diversi alla superstizioni dei rustici, dando forma giuridica e teologica, proprio nel quadrante centro occidentale delle Alpi, a quella nuova eresia denominata stregoneria diabolica che fu duramente combattuta nel corso di più di tre secoli. Se con molta probabilità fu a Triora che si esaurì, almeno per quanto riguarda l’Italia,la spinta propulsiva della “caccia alle streghe”è d’altra parte inoppugnabile il richiamo di Scribani a una precocità della stessa in questa medesima Podesteria. Egli in una lettera ai suoi superiori reclamava la necessità di condurre una inquisizione approfondita contro le malefiche, come non se ne vedeva ormai da più di un secolo, un accenno a un fenomeno non irrilevante di cui si era mantenuta evidentemente traccia nella memoria . Degli eventi a cui si rimanda nel rapido eppure fondamentale accenno oggi restano solo alcuni indizi, il più celebre dei quali è l’affresco della Chiesa di San Bernardino, opera di fine Quattrocento, in cui le “Fatucerie”,con la mitra in testa, bruciano in compagnia dei “Gazari”nella fornace infernale, segno inequivocabile della incipiente trasformazione della loro “arte” in una nuova forma di eresia. D’altro canto anche la intitolazione della Chiesa a San Bernardino da Siena, forse in ricordo di un suo passaggio nell’ Alta Valle Argentina, potrebbe essere un ulteriore indizio della precocità della caccia in questa area, considerato il ruolo che il francescano ebbe nella diffusione della nuova minaccia e la parte attiva che svolse nella istruzione dei due primi processi contro fattucchiere mandate al rogo con l’accusa di essere in combutta con il Diavolo, Finicella (Roma,1426),Matteuccia (Todi,1428).Nel 1588 a Triora, come nel resto della penisola,non era invece più tempo di bruciare le streghe, ben altre erano infatti le minacce che incombevano sulla Chiesa di Roma, e presto su quelle dolorose vicende sarebbe calato un secolare silenzio, mentre le credenze e le pratiche superstiziose furono riassorbite dalla religione dominante sopravvivendo fino al Novecento, come testimoniano i documenti orali raccolti dagli studiosi locali.Sotto questo aspetto, forse a ragione, si può sostenere che del mondo di Franchetta qualcosa sia probabilmente sopravvissuto , a parte il suo ricordo di vittima del fanatismo religioso e delle dinamiche di vicinato. Ma la sua eredità non la si dovrà ricercare nelle stereotipate immagini delle odierne streghe di Triora, che paradossalmente ci allontanano ancora di più dal ricordo delle vittime del processo, consegnandole ad una postuma damnatio memoriae.”Sorprendentemente”, una reliquia di quel mondo che Scribani voleva , fuori tempo massimo, eliminare alla radice, è possibile oggi scorgerla all’interno della religione ufficiale. Tra le pieghe della pietas popolare e sotto il velame della fede ereditata, si può ancora scorgere quella compenetrazione tra segni di una tradizione antica e parole di una religione più recente, che rivela, a distanza di secoli, la vitalità proteiforme dell’ancestrale pensiero magico, cioè di quel «fenomeno sociale totale»di cui Franchetta e le altre sventurate furono espressione, al pari dei loro persecutori.
Paolo Portone
Dopo un lungo periodo di impegno e lavoro
a Ottobre 2016 apre al pubblico la
Sezione Etnostorica della Stregoneria
Perché una sezione importante etnostorica, sulla stregoneria e sulla caccia alle streghe? Tra il tardo Medioevo e gli albori dell’Età dei Lumi, nel cuore dell’Europa occidentale, furono circa 110 mila i processi istruiti da tribunali laici ed ecclesiastici contro i presunti seguaci di una setta di Satana. Secondo stime prudenti, essi si conclusero con la condanna a morte di quasi 60 mila persone, in prevalenza donne, riconosciute colpevoli di un delitto impossibile da dimostrare . Vittime innocenti del primo olocausto della storia europea, esse ci ricordano come il fanatismo e l’oscurantismo non ci siano estranei ma costituiscano al contrario una parte non irrilevante del nostro passato, ci rammentano come il morbo dell’intolleranza e del pregiudizio abbiano pervaso le istituzioni e la religione, producendo immani ingiustizie. L’idea attuale di strega diabolica è un concetto che vede la sua nascita nei tribunali ecclesiastici e laici, la sua cristallizzazione nei manuali demonologici e infine la convalida attraverso le confessioni ottenute torturando decine di migliaia di vittime innocenti. La memoria di quelle donne è ancora oggi infangata dall’atroce suggello imposto dai loro implacabili giudici: strigimaga, infanticida, venefica, tempestaria, schiava di Satana, e perciò apostata, idolatra ed eretica. Di quella lunga catena di assassinii resta poco, non solo nei numeri, ma anche nella memoria di ciò che realmente avvenne. La pulizia operata da inquisitori e giudici laici nel corso di tre secoli ebbe come scopo l’annichilimento di un mito, sul quale prevalse una prescientifica urgenza classificatoria volta a interpretare, mistificandole, le tradizioni più arcaiche del patrimonio culturale europeo. L’interesse mostrato dalla storiografia non è mai stato duraturo e soprattutto in grado di orientare un preciso indirizzo di ricerche e di studi. Nella nutrita bibliografia esistente oggi sull’argomento sono rari gli studi che hanno portato ad un significativo avanzamento delle conoscenze relative al mondo delle vittime, al loro universo culturale, alle loro biografie. Oggi senza dubbio sappiamo molto dei loro persecutori (giudici, inquisitori, demonologi e predicatori, cattolici e protestanti). Abbiamo conoscenze più che approfondite sui meccanismi che regolavano la giustizia nei casi di stregoneria diabolica, delle misure prese attraverso concili e sinodi dal clero per contrastare le superstizioni popolari ecc.. Ma delle vittime continuiamo a sapere attraverso il filtro straniante e mistificante della stregoneria diabolica. Documentare il mondo delle vittime della caccia è la scommessa e lo scopo di questo Museo. Attraverso le testimonianze storiche ed etnografiche si è tentato di ricostruire per la prima volta l’identikit culturale di chi fu costretto sul letto di Procuste della Schiava di Satana. Gli oggetti esposti hanno lo scopo di accompagnare il visitatore in un viaggio nella realtà sottesa ad una delle figure mitiche di maggior successo dell’immaginario collettivo europeo. Ciò attraverso un percorso suddiviso in quattro aree tematiche (“Il pensiero magico”, “Dee, spiriti e creature femminili”, “Dominae herbarum”, “L’invenzione della strega diabolica e il processo di Triora”), per consentire al curioso ed allo studioso di confrontarsi con i reperti di un mondo più vicino alla realtà storica. Al termine di questo viaggio, se non sarà stata resa giustizia alle vittime, forse si sarà restituita loro un poco di dignità, ristabilendo il nesso che lega le persone al loro nome, alla loro occupazione, a ciò che effettivamente rappresentarono nella società europea a cavallo tra Medioevo ed Età moderna. Ridare una fisionomia alle migliaia di donne condannate senza alcuna colpa al rogo significa quanto meno risarcire la loro memoria, riguadagnando alla nostra i motivi reali di una persecuzione condotta con efficacia e razionale determinazione contro un nemico inesistente, ma dalla quale siamo usciti tutti trasformati, come le bonae feminae al seguito di Diana.